Storia della Madonna del Ponte e di Altofonte
a cura di Giovanna Inchiappa
Nel 1282, la Sicilia diviene campo di battaglia di una lotta accanita tra Angioini e Aragonesi.
Questi ultimi, nel 1302 ebbero il possesso dell'isola, così il re Federico II d'Aragona fece costruire, in segno di ringraziamento, una Abazia in onore di Maria Santissima in un luogo vicino alla città di Palermo, che allora veniva chiamato Parco Nuovo (l'attuale Altofonte), fondato da Re Ruggero. Dopo che furono ultimati i lavori, il 25 marzo 1306, giorno dell'Annunciazione, accompagnato da tanti nobili palermitani e dai canonici della cattedrale di Palermo, il Re si recò in questa Abazia, dove fu celebrata la S. Messa, e l'affidò ai monaci Cistercensi nella persona di Gualtiero de Manna, abate del monastero cistercense di S. Spirito di Palermo, che la riceve in nome del futuro abate.
Il posto in cui sorgeva l'Abazia venne dedicato alla Madonna, e siccome in questo posto scorreva una sorgente d'acqua limpida e cristallina, chiamò quella zona Altofonte. Ai monaci cistercensi Federico II concesse molti altri beni, tra i quali la Foresta di Partitico, dove prima sorgeva la città, in seguito distrutta e abbandonata dagli abitanti a causa delle devastazioni della guerra. Gli abati cistercensi rifabbricarono la città di Partinico, la decorarono di uno stemma e ne curarono la ripopolazione. Alcuni dei monaci del monastero del Parco fissarono la loro abitazione a Partitico, nella Fortezza che vi avevano costruito, per esercitare i diritti baronali sulla Foresta, per amministrare i loro beni ed attendere alla istruzione civile e religiosa dei nuovi coloni.
I zelanti abati cistercensi, devotissimi della Madonna (i cistercensi sono infatti una derivazione dell'ordine Benedettino, istituita da Roberto di Molesme nel deserto di Citeaux, proprio in seguito ad un'apparizione della S. Vergine), divennero promotori del culto della Madre di Dio, sotto il titolo di S. Maria di Altofonte, nella chiesa annessa al loro Monastero, nel nuovo casale del Parco.
Nel 1318, il re Federico II concesse al nuovo abate del monastero di Santa Maria di Altofonte, frà Pietro Guzio, di fregiarsi con uno stemma con l'immagine della Madonna seduta che tiene il Bambino Gesù col braccio sinistro. Tale stemma è costituito dal bassorilievo in marmo che ancora oggi possiamo vedere sull'altare a destra di chi entra nella nostra Chiesa parrocchiale di Altofonte (e la cui copia, un getto in gesso fatto eseguire dal Commendatore Salinas, Direttore del Museo Nazionale di Palermo, è conservata presso lo stesso museo). Al centro della lastra di marmo spicca la figura della Madonna sedente con il Bambino sulle ginocchia, ai lati stanno due scudi: a sinistra di chi guarda quello di Sicilia; a destra quello d'Aragona. Sotto, due scudi più piccoli: l'uno portante un cane rampante, rozzamente scolpito, e l'altro un monogramma (Altfte) con lettere che compongono le due parole Alto Fonte. Nell'angolo inferiore destro è l'iscrizione in latino: "ANNO DOMINI MCCCXXVIII, XI INDICTIONIS HOC OPUS FACTUM EST TEMPORE FRATIS P. ABBATIS S. MARIAE DE ALTOFONTE" (l'anno del Signore 1328, 11ª Indizione, fu eseguita quest'opera, al tempo di Fra P. Abate di Santa Maria di Altofonte). Con ogni probabilità Fratis P. è proprio Fra Pietro Guzzio infatti, il cane rampante è lo stemma dei Guzzio. Da un iscrizione ritrovata sappiamo che il pio e zelante Guzio, terminata la costruzione del monastero nel 1328, nel primo dormitorio, sopra la porta che immetteva nell'appartamento dell'abate, fece collocare l'immagine della Madonna di Altofonte come stemma glorioso dell'abbazia. Per questa ragione si suppone che l'istituzione del culto di Maria SS di Altofonte sia avvenuta sotto la reggenza dell'abate Pietro Guzio (1318-1340).
Continua intanto l'opera di ricostruzione di Partinico e, trattandosi di un'unica abazia, essendo unico il suo governo, unica l'amministrazione temporale e spirituale, il Guzio, coadiuvato dai monaci che abitavano nella Foresta di Partitico, trasferisce anche lì il loro culto, per cui i partinicesi cominciarono a venerare la Madonna di Altofonte. L'abate inaugurò questo culto, dando origine al Santuario, non si sa se restaurando un'antica Chiesa o edificandone una nuova, per far cosa gradita al re Federico, devotissimo della Madonna di Altofonte, nel cui titolo aveva istituito l'abazia, e per dargli l'opportunità di partecipare alla messa quando veniva a divertirsi per la caccia.
Ma come si affermò il culto della Vergine Santissima
con il titolo "Madonna del Ponte"?
Quando Federico II incaricò i monaci di ricostruire la città di Partinico, diede loro in dono anche la Foresta di Partinico che comprende la contrada "Ponte", dove oggi si trova il santuario della Madonna del Ponte. Il primo titolo che ebbe la Madonna a Partinico fu "Santa Maria di Altofonte", a cominciare dal XIV secolo, poi "del Ponte", come la denominazione della contrada, "che offre ai viandanti un sicuro passaggio dall'una all'altra riva del fiume Jato, collegando i fertili poderi che si stendono a destra e sinistra del fiume". Così avvenne anche per il santuario che prese lo stesso nome. Finalmente, continuando ad invocare la Madonna coi titoli di "Altofonte" e del "Ponte", riuscì facile al popolo, sostituendo definitivamente alla parola "Fonte" la voce "Ponte", formare il titolo di "Altoponte" il quale certamente non è altro che la modificazione di Altofonte. Ma a tutto questo si arrivò dopo parecchi anni: infatti alcuni invocarono la Madonna col titolo di "Altofonte" e altri col titolo del "Ponte", tanto è vero che, per rimanere unanimi nelle preghiere, tutti e due i titoli vennero uniti in un celebre canto, inserito nelle preghiere che componevano la novena e che recitava:
"O del Ponte e d'Altofonte
Diva eccelsa, amante e pia,
di Dio Madre e Madre mia,
deh! feconda un santo amor.
Volgi ognor lieta la fronte,
e proteggi e prendi in cura
questo cielo e queste mura,
ogni tetto e ogni cor".
Nel periodo in cui fu Arciprete Leonardo Blanda, tutti i sabati, nella Chiesa Madre, e tutte le domeniche in Albis, lungo la via che conduceva al santuario, nell'ultima invocazione delle Litanie della Madonna il prelato cantava "Santa Maria di Altofonte prega per noi" e un immenso numero di cittadini e forestieri rispondeva con il canto appena citato, "facendo echeggiare per l'aperta campagna il nome augusto di Maria SS. Di Altofonte".
I titoli di Fonte e di Ponte sono così belli e caratteristici per la Vergine Madre di Dio, che i Santi Padri ed i Dottori della Chiesa li hanno spesso adoperati per fare l'elogio delle sue inenarrabili grandezze, e la Madonna era davvero un "alto fonte", un fonte totalmente alto, perché ricco di Misericordia, ed anche "ponte", in quanto è intermediaria tra gli uomini e Dio. Ed è così che fu invocata la Madonna per ben tre secoli, dal principio del secolo XIV alla fine del secolo XVI, prima sotto la giurisdizione baronale degli Abati cistercensi, e poi sotto quella degli Abati Commendatari dell'Abazia di Santa Maria di Altofonte di Parco e Partinico.
Secolo dopo secolo, la devozione diventava sempre più fervorosa e la notorietà delle numerose grazie, consolazioni e benefici di ogni sorta, dispensati dalla S. Vergine sotto il titolo di Maria SS. di Altofonte e del Ponte, giunge ai re spagnoli che a quel tempo governavano la Sicilia. Morto Filippo IV nel settembre 1665, Marianna d'Austria, vedova di lui, prese a governare il regno a nome di Carlo II suo figlio, che aveva ancora quattro anni. La regina madre, durante la reggenza, e Carlo II, quando cominciò ad amministrare il regno, memori che Filippo IV nelle calamità del suo governo era ricorso alla Vergine, ordinando che a Lei si celebrasse devota e solennissima Novena in tutta la Sicilia, per impetrare la pace e la prosperità "nelle traversie che contristavano il suo regno, si volsero alla Madre di tutte le grazie, facendo solennizzare ogni anno la Novena con la celebrazione di molte Messe nel Santuario Partinicese di Maria SS.ma di Altofonte e del Ponte". La Madonna di Altofonte e del Ponte viene così venerata non solo dai "rozzi abitatori delle vicine borgate, ma anche dai doviziosi e colti Monarchi di vastissimi regni".
L'immagine della Madonna che veneravano i partinicesi, e non solo, era, quindi, una copia di quella raffigurata nello stemma dell'Abazia di Altofonte. Questa copia, fatta eseguire in pittura e in scultura dal Guzio o dai padri Cistercensi che dimoravano nella nuova Partinico, con il passar del tempo, si deteriorò. Infatti, la più antica immagine di Maria SS. di Altofonte e del Ponte, che si conserva ancora oggi a Partinico, è la Madonna del Santuario, statua del sec. XVII o XVIII.
"Il corpo di essa è formato di paglia ben legata: la testa col collo e parte del petto, le mani ed i piedi sono di cera finissima; tutto di cera il bambino. Senza dubbio essa ritrae la Madonna di Altofonte del Guzio: la sua posizione seduta, il Bambino, che sostenuto dal braccio sinistro della Madre appoggia i piedini sulle ginocchia di Lei, il braccio destro con la mano piegata sul petto," ce lo indicano chiaramente.
Verso la fine del XVI secolo, gli Arcipreti, che avevano sostituito i monaci cistercensi, fecero fare un dipinto per soddisfare l'accresciuta devozione dei partinicesi. Questo quadro, ridotto in pessimo stato già alla fine del XVIII secolo, venne sostituito nel 1795 da una fedelissima copia del pittore Ferrandina sopra nuova tela, sotto cui però, giace l'antico originale a perenne memoria.
Non molti anni dopo, intorno al 1820, se ne fece dipingere un terzo, forse perché la Madonna del Ferrandina non era così bella come avrebbe dovuto essere e come il popolo la desiderava. Fu così che il Rev.mo Dottor Ignazio Rosso, allora Arciprete di Partinico, insieme ai deputati del santuario, diedero l'incarico al pittore Vincenzo Manno di dipingere un nuovo quadro della Madonna del Ponte, che con la sua bellezza, secondo le regole dell'arte, appagasse il vivo desiderio del clero, della colta cittadinanza e del popolo. L'egregio pittore non venne meno al mandato affidatogli e ben presto consegnò il suo lavoro. Il nuovo quadro, con vivo compiacimento e grande esultanza di tutti, fu esposto alla pubblica venerazione e la gran Madre di Dio, in quella bellissima immagine invocata, cominciò a versare a piene mani le grazie nei cuori e nelle famiglie dei suoi diletti Partinicesi.
Si tratta della tela che ancora oggi viene venerata a Partinico, nella quale possiamo ammirare la Madonna, dipinta in alto, al centro del quadro: ha la veste bianca e il manto azzurro, tanto bella nella sua modestia che "ispira devozione in chi la mira", come scriveva il padre Lo Grasso nel libro "Partenico ed il culto di Maria Santissima di Altofonte e del Ponte sua speciale patrona". Il Bambinello, vestito di bianco, mentre con la destra pare che voglia ripiegare il velo della madre per scoprirne il petto, con la sinistra tiene un piccolo cuore, quasi in atto di offrirlo a Lei, guardando amorosamente il popolo devoto. "Pare che il divino Pargoletto voglia dire: a me, a me date il vostro cuore, ed io lo presenterò alla mia diletta Madre divina, alla vostra potente ed amorosissima Protettrice". A destra della Madonna troviamo S. Pietro che tiene, con la sinistra ripiegata sul petto, le chiavi del Regno, e con la destra distesa lungo il corpo, un libro; a sinistra della Madonna, vediamo S. Paolo, che tiene con la destra un ramo di gigli e con la sinistra un libro. Nella parte inferiore della tela, sotto i piedi della Vergine, e tra le due figure, è dipinto un ponte a tre archi, con l'arco di centro più grande, più piccoli gli archi laterali.
La presenza dei due apostoli S. Pietro e S. Paolo è probabilmente dovuta al fatto che all'epoca dei Normanni era in uso raffigurare, accanto alla Vergine, patrona principale, i Santi Patroni secondari della città. Si desume, pertanto, che i Baroni di Partinico, Rinaldo e Roberto Avenello, vi avessero stabilito il culto dei Santi Pietro e Paolo. Ma è anche molto probabile che il pittore, che ha dipinto il primo quadro della nostra Madonna, abbia voluto imitare i grandi artisti della Scuola Siciliana, i quali ritraevano spesso la S. Vergine con i due Apostoli ai lati. In ogni caso, la loro presenza ha un significato teologico: Maria, resa onnipotente per grazia, costituisce un "ponte" incrollabile di difesa e di salvezza per la Chiesa contro il fiume degli errori e dei vizi che tentano di travolgerla e seppellirla; gli apostoli Pietro e Paolo rappresentano l'uno l'autorità della Chiesa in materia di dottrina e di morale, l'altro la missione della Chiesa chiamata a portare il Vangelo a tutte le genti.
Il popolo partinicese, per la grande devozione che ha nutrito e che continua a nutrire verso la Madre di Dio, ha pensato di arricchire l'immagine Sacra con delle vesti d'argento e corone d'oro. Di per sé la Sacra immagine è talmente bella che non avrebbe bisogno di queste vesti, anzi, esse rischiano di recare gravi danni al prezioso quadro. Tuttavia queste testimoniano la devozione del popolo partinicese e il continuo interessamento degli Arcipreti, che hanno sempre guidato il popolo a coltivare il culto della Santa Vergine.
Mosso da questa intenzione, per soddisfare la sua infiammata e filiale devozione verso la Madre di Dio e per appagare i desideri di tutta la cittadinanza, grata per la liberazione dal colera del 1854-1855, l'arciprete Blanda promosse l'incoronazione della Sacra immagine, avvenuta per solenne Decreto del Rev.mo Capitolo della Basilica Vaticana il 15 Agosto del 1861. Fu proprio in quell'occasione che furono poste le corone d'oro alla Madonna e al Bambino, mentre i restanti fregi d'argento furono fatti intorno all'anno 1761.
Il momento della coronazione fu veramente solenne: tra il suono festoso delle campane di tutte la chiese, l'inno reale intonato dalle bande, lo scoppio di bombe e mortaretti, la commozione è generale. Il popolo non stava più in sé dalla gioia e per dimostrare la sua fede, la devozione e l'entusiasmo religioso con voce "che parte dal cuore faceva echeggiare l'aria dei ripetuti evviva alla coronata Patrona" (p. Lo Grasso), chiedendo alla Santa Vergine: "Come sei coronata in terra dalle nostre mani, impetraci grazia che meritiamo di essere così da Cristo coronati di gloria e di onore nei cieli"